La luna nell'acqua

 

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Introduzione

Siamo in un'epoca in cui non molti, in Occidente, vogliono sentir parlare di religione. E' diffusa la convinzione che le religioni abbiano portato nel mondo soltanto ignoranza, superstizione, odio, distruzione. E' una convinzione condivisibile, se si toglie quel "non solo": perché nell'ambito delle religioni sono sorte anche cose ammirevoli. Non, magari, il massacro (qualcuno parla di olocausto) degli indiani d'America, con la benedizione dei missionari cristiani, e nemmeno la distruzione dei templi delle altre religioni o l'uccisione sul rogo degli eretici; quando si resta incantati davanti ad una cattedrale gotica, non si può però fare a meno di pensare che quell'opera non sarebbe stata possibile senza una profonda intuizione religiosa. In ogni caso, se si mettesse su un piatto della bilancia il bene portato all'umanità dalle religioni e sull'altro il male, molto probabilmente la bilancia penderebbe dalla parte del male.

Non scrivo queste pagine, dunque, per convertirti alla religione buddhista. Penso che si viva meglio senza una religione, ossia senza riti, chiese, superstizioni, pretese autorità religiose che ci dicono cosa dobbiamo o cosa non dobbiamo fare. Credo nell'autonomia, nell'intelligenza, nella libertà dell'individuo, tutte cose che le religioni per lo più disprezzano e combattono. Sono anche convinto, però, che ognuno di noi abbia bisogno di una visione del mondo e della vita. Ci sono domande che ci tormentano fin da quando acquisiamo la ragione. Perché viviamo? Perché esiste il male? Cosa è giusto fare? Quale è il modo migliore di vivere?Queste domande sono così difficili perché la vita è dannatamente breve, ed il tempo che abbiamo per dedicarsi alla riflessione non è molto. C'è sempre qualcosa di più urgente cui dedicarci: gli affetti, il lavoro, le relazioni sociali. E così accade a molti di giungere alla vecchiaia senza averci capito molto.La religione nasce per rispondere a queste domande. Ma lo fa a modo suo: con i miti, con i dogmi, con le autorità che pensano al posto nostro. Con la fede, che prende il posto della ragione. C'è da sospettare che sia una soluzione peggiore del male che vuole curare, e basta passare qualche minuto in compagnia di una persona veramente religiosa per rendersene conto. 

La filosofia è una alternativa alla religione. Cerca una risposta alle nostre domande, ma senza sostituirsi a noi. Il filosofo - quando non è anche lui un fanatico - è uno che ci aiuta a trovare a ragionare ed a trovare la nostra risposta. Purtroppo, con i secoli la filosofia sembra aver perso questa sua funzione, ed è diventata una disciplina specialistica, di cui ci si occupa nel chiuso delle università, e che poco ha da dire alle persone comuni. Non era così nell'antichità, quando i filosofi erano maestri di vita e come tali erano riconosciuti da coloro che si ponevano domande.Nelle pagine che seguono ti parlerò del buddhismo come filosofia, più che come religione. Non è una forzatura, la mia. Il buddhismo è una religione un po' diversa dalle altre. Tanto per cominciare, non ha nulla a che fare con la fede in un Dio creatore. In questo senso, il buddhismo è pienamente ateistico. Non è l'unica religione ateistica: lo è anche, in India, il jainismo, e poco a che fare con Dio ha anche il Tao, il principio del taoismo. In secondo luogo, l'insegnamento del Buddha non si presenta come una verità rivelata, nella quale bisogna credere, ma come un'analisi della situazione umana, della sofferenza che ognuno di noi prova e delle sue cause, delle possibili vie d'uscita. Una analisi che ognuno può, anzi deve esaminare con la sua ragione, e non accettare con un atto di fede.

Il Buddha, insomma, è uno che pensa e che invita a pensare con lui. E' quello che proveremo a fare in questo libro.

 

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Una storia che parla di te

Il cristianesimo comincia con una storia: la storia di Gesù, detto il Cristo, il Figlio di Dio che è venuto sulla terra ed è morto sulla croce per la salvezza dell'umanità. Essere cristiani vuol dire credere in questa storia che va al di là della storia. Non è sufficiente credere nell'insegnamento di Gesù o mettere in pratica la sua morale. Occorre credere che Gesù è il Figlio di Dio, e che è venuto per la nostra salvezza.
Anche il buddhismo comincia con una storia. E' la storia di Siddharta Gautama, l'uomo che diventò il Buddha, ossia il Risvegliato. Ma c'è una differenza: il buddhismo prescinde dalla storia del Buddha. Se qualcuno dimostrasse che il Buddha non è mai esistito, per il buddhismo non cambierebbe molto. Un buddhista non crede nel Buddha, un buddhista cerca di mettere in pratica il suo insegnamento. O meglio: cerca di diventare un Buddha.
E tuttavia non è male, per conoscere il buddhismo, partire dalla storia del Buddha. Si chiamava, ho detto, Siddhartha Gautama, e nacque a Lumbini, nel Nepal meridionale, 566 anni prima della nascita del Cristo. Era figlio del re Suddhodana, appartenente alla casta dei guerrieri, e di sua moglie Maya, che lo aveva concepito sognando di essere penetrata nel fianco da un elefante bianco. Siddhartha nacque all'improvviso, mentre Maya era in viaggio per raggiungere la casa dei genitori. La madre lo partorì appoggiandosi ad un albero, senza alcun dolore. Ma morì improvvisamente sette giorni dopo, affidando il bambino alla sorella Prajapati.
L'asceta Asita venne a sapere della sua nascita grazie ai suoi poteri spirituali, si presentò alla reggia di Suddhodana e piangendo per l'emozione profetizzò che il bambino appena nato sarebbe avrebbe mostrato agli uomini la verità che salva. Il re ne rimase turbato. Non voleva un figlio santo, desiderava un erede che gli succedesse al trono. Per questo pensò di ostacolare l'inclinazione spirituale del figlio facendolo vivere nella sua reggia circondato da ogni tipo di piacere e di divertimento.
Così crebbe il giovane Siddhartha, viziato e distratto affinché non si accorgesse del male che c'è nel mondo. Ma un giorno sentì parlare dei boschi che erano fuori della città ed espresse il desiderio di vederli. Il re non glielo negò, dando però ordine di eliminare dalla città qualsiasi segno della malattia e della vecchiaia, affinché anche fuori dal palazzo il giovane Siddhartha vedesse solo persone giovani e belle. Gli dèi però sono di altro avviso, e mettono sulla strada di Siddhartha un vecchio, un uomo malato ed un morto.
Turbato, Siddhartha chiede all'amico che lo accompagnava e guidava il suo carro. Cosa sono quelle persone? Cos'hanno? Perché quell'uomo è così grinzoso? Perché quell'altro ha il ventre enorme e si lamenta di continuo? Perché quell'altro ancora è immobile ed esanime? E l'amico gli rivela la terribile verità. Ogni essere umano invecchia, ogni essere umano si ammala, prima o poi: ed ogni essere umano muore. Ed è quello che accadrà anche a Siddhartha.
Il giovane principe torna al suo palazzo sconvolto. Ha scoperto l'aspetto terribile dell'esistenza. Nulla può essere più come prima. Nulla lo diverte più: le bellissime donne che lo seducevano ora gli sembrano disgustose. E una notte decide di andarsene.
Non è più giovanissimo, ha ventinove anni, ed a palazzo lascia la moglie Yashodhara ed un figlio piccolo, Rahula. Si mette in cammino per cercare la verità. Diventa un asceta che vive nei boschi, come tanti al suo tempo. Trova dei maestri, diventa loro discepolo, ma non hanno la verità che cerca. Con loro raggiunge gradi di spiritualità elevatissimi, ma non ancora la via d'uscita dalla sofferenza. Decide di dedicarsi a privazioni rigorosissime, fino al punto che il suo copro diventa pelle ed ossa. Finché un giorno si accorge che sta sbagliando tutto. Accetta una ciotola di riso che gli offre una ragazza. Si rimette in forze e decide di intraprendere una strada diversa. Riflette, medita, analizza la realtà. E una notte, seduto sotto un albero di fico, raggiunge il Risveglio, la Bodhi. E diventa il Buddha.
Ha trentacinque anni. Vivrà ancora altri quarantacinque anni circa. Anni durante i quali costituirà una vasta comunità di seguaci, il Sangha, metterà a punto la dottrina e troverà appoggi presso il potere politico.
Gran parte della storia che ho appena raccontato è mitica. Non mi riferisco solo alla faccenda della nascita miracolosa, ma anche all'essere figlio di un re. Nel luogo e nel tempo in cui è nato non c'era un regno, ma una repubblica oligarchica. Non tutto è falso, a dire il vero. Il molti passi dei testi che raccontano la storia e l'insegnamento del Buddha - i sutra - emerge fortemente la sua umanità. La sua morte, ad esempio, non ha nulla di glorioso: morì dopo aver mangiato della carne guasta, dopo terribili emorragie e scariche di diarrea. Il sutra che racconta la sua morte si sofferma anche sulle sofferenze fisiche che provava: e pare di vederlo, questo vecchio malandato, con il corpo che gli infligge quei mali che secondo la leggenda avrebbe contemplato da giovane con animo turbato.Inventata è, con ogni probabilità, la storia dei piaceri vissuti nel palazzo reale, della scoperta del male e della fuga. Ma è una storia falsa che ha una sua verità. E' la storia di ognuno di noi: è la storia di come usciamo dall'infanzia, il periodo della vita nel quale non conosciamo ancora il nostro destino di esseri fragili, destinati a morire; è la storia della scoperta della morte, che ci sottrae all'infanzia.
E' una storia falsa, ma anche vera. E' la storia di Siddhartha, comunque siano andate le cose nella sua infanzia e nella sua giovinezza. Ed è anche la storia di me che scrivo e di te che leggi.

 

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Il male

Il buddhismo, come probabilmente ogni religione, se non ogni filosofia, parte dal male. Il problema del male attraversa tutta la Bibbia, fin dal primo libro: la Genesi. Il mito di Adamo ed Eva cerca di rispondere a una delle domande più angosciose per un credente: Se c'è Dio, perché esiste il male? Un'altra domanda che tormentava gli ebrei era: Se c'è Dio, ed è buono e giusto, perché gli uomini buoni soffrono ed i malvagi vivono ricchi e felici? Il libro biblico che impone con forza, anzi con violenza questa domanda è quello di Giobbe. E' la storia di un uomo giusto e timorato di Dio che all'improvviso si trova a perdere tutto: la moglie e i figli, le ricchezze, la salute. Si tratta di una brutta scommessa di Dio con Satana, ma lui non lo sa. Quello che sa è che lui, che teme Dio, si trova disperato, povero, solo: nudo. Gli amici vanno a trovarlo e cercano di convincerlo che se si trova in quello stato è perché ha fatto qualcosa di male: perché Dio è giusto, e punisce chi fa il male. Giobbe protesta la sua innocenza, poi di fronte all'insistenza degli amici si lascia andare a terribili bestemmie. Dio è un essere terribile che, quando una tragedia fa morire molte persone, se la ride della disgrazia degli innocenti, e lascia le nazioni in mano ai malvagi (Giobbe 9, 23-24). La cosa interessante, o sconcertante, di questo libro è che alla fine Dio stesso interviene, e finisce per dare ragione a Giobbe. Si scaglia contro uno degli amici di Giobbe: "La mia ira si è accesa contro di te ed i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette, come ha fatto il mio servo Giobbe" (Giobbe 42, 7). Ma Giobbe ha detto cose che alle orecchie dei credenti suonano come bestemmie.

Il male da cui parte il buddhismo non è questo. Perché i giusti soffrono e i malvagi sono felici è una domanda che non appassiona gli indiani. La ragione è che le diverse religioni indiane, comprese quelle meno ortodosse, come il buddhismo, condividono la concezione del karma. Credono, cioè, che ogni nostra azione produca un frutto per noi stessi. Se abbiamo compiuto azioni positive, il frutto sarà positivo, se abbiamo fatto del male, il frutto sarà negativo. E' una cosa banale, dirai. E' evidente che se fai del male ne paghi le conseguenze, a meno che tu non abbia molta fortuna. Ma per gli indiani si tratta di un meccanismo implacabile. Se hai fatto del male, ti succederà qualcosa di doloroso: è inevitabile. E se non ti succede in questa vita, succederà nella prossima. Questo vuol dire che il malvagio pagherà per il suo male, anche se ora sembra felice. E pagherà senza nessuno sconto. Torneremo su questa dottrina e sui problemi che comporta.

Per un ebreo e un cristiano, il mondo è un luogo in cui succedono molte cose che non dovrebbero, e bisogna appellarsi di continuo a Dio ed alla sua giustizia perché in questo caos regni un po' di ordine. La cosa non funziona molto, e ci si ritrova con domande come: Se c'è Dio, perché non ha ascoltato le preghiere degli ebrei ad Auschwitz? Una delle domande centrali della teologia del Novecento. Per un indiano invece il mondo è un meccanismo perfetto, in cui al male corrisponde il male, al bene il bene.

Il mondo è ordinato, e tuttavia c'è il male. Non il male della ingiustizia cosmica. Il male inteso come semplice, e terribile, male di vivere. La sofferenza di stare al mondo, il fuoco che brucia le nostre vite, il dolore che accompagna i nostri passi. Il Buddha usa una parola per indicare questo male: dukkha. E' una parola che si traduce spesso con sofferenza, ma non è una traduzione perfetta. La parola rimanda ad una immagine: quella della ruota di un carro che è fissata male al suo asse. Disagio forse indica meglio il concetto. Disagio non è solo il dolore e la sofferenza; è anche la noia, l'ansia, il non voler essere qui e non conoscere un altrove. Il disagio di vivere: questo è il problema.

 

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Psicoterapia

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Io, anzi no

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Havel havalim

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Il vaso magico

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Al mercato, con le mani aperte

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Le viscere del Buddha

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Lo scassinatore

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Quale vittoria?

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Io sono Dio

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L'uomo dalla collana fatta di dita

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Il silenzio

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Verificare da sé

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La felicità

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Il disincanto

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L'intenzione

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